La qualità misurata e la qualità percepita sono inconciliabili?
Quella volta a salvarmi, anche se lui non lo ha mai saputo, ci pensò Maurizio Costanzo. Il noto giornalista e anchorman era l’ospite (per una volta i ruoli si invertivano anche per lui) alla nostra Convention a Roma. C’erano praticamente tutti i nostri principali clienti, qualche centinaio, tutti insieme, invitati dall’azienda, per ascoltare, come spesso succede, resoconti, esperienze, programmi, prospettive.
La logistica è una delle Risorse Chiave del Business Model
Venivamo da una situazione che presentava, da parte loro, una certa malcelata insoddisfazione (eufemismo) sulla qualità dei nostri servizi ed il compito che mi era stato assegnato, essendo stato incluso tra i relatori, era quello di rassicurarli e mostrare come la loro percezione non coincidesse affatto con le nostre misurazioni, misurazioni che io chiamavo, forse provocatoriamente, fatti. Ero stato scelto per questo compito ingrato dato che, come responsabile acquisti e supply chain, l’interazione della mia area con i clienti era sotto un profilo numerico di gran lunga la più rilevante rispetto a tutte le altre. L’unità logistica gestiva milioni di prelievi annui (sic) e decine di migliaia di spedizioni (sic) con un magazzino che superava i 20.000 prodotti a stock. Con questi numeri le consegne rappresentavano momenti di contatto “fisico” azienda – cliente praticamente quotidiani. Spesso succedeva anche più volte al giorno. Eravamo, quindi, come si dice, nel mirino.
Nonostante tutto, mi sentivo piuttosto forte perché i principali indici che utilizzavamo per la misurazione cioè lo strike per riga (rapporto tra righe di prodotto ordinate e righe di prodotto consegnate), lo strike per ordine (rapporto tra ordini ricevuti e ordini consegnati completi in unica consegna) ed il numero di errori di prelievo rispetto al totale dei prelievi, erano oggettivamente, considerata la complessità dell’attività ed il numero di soggetti e prodotti coinvolti, soddisfacenti. Ricordo che il primo era ben oltre il 95% ed il secondo era vicino al 90%. Inoltre molto più del 90% delle spedizioni arrivava a destinazione nei tempi previsti, con un numero molto limitato di danneggiamenti. Si trattava, oltretutto di indici difficilmente migliorabili (se non con una fortissima lievitazione dei costi).
Supply Chain: la qualità misurata e la qualità percepita sono inconciliabili?
Ma tutto questo sembrava non bastare, la platea restava piuttosto fredda e assai poco convinta dai miei numeri e lo si leggeva nei tanti volti che mi scrutavano e nella marcatissima resistenza ad ogni forma di applauso, anche minimo. Mentre parlavo, pensavo che non credessero a miei dati, che ritenessero forse che io stessi bluffando e cercavo di trovare una strada per abbattere quel muro di diffidenza che inesorabilmente cresceva.
E arrivò lui! Essendo sempre molto impegnato, Maurizio Costanzo aveva accettato di partecipare alla Convention, ma alla condizione di poter scegliere quando intervenire, utilizzando – senza preavvisarci – una pausa delle registrazioni che allora faceva al teatro Parioli. Il piano prevedeva che il relatore di turno avrebbe dovuto interrompere la sua presentazione e lasciare spazio, al suo arrivo, all’intervento del giornalista. Ci fu un po’ di confusione, sorrisi per l’ospite che rappresentava una piacevole sorpresa per (quasi) tutti, l’atmosfera si sciolse in un attimo ed un applauso, finalmente, salutò la mia uscita di scena mentre introducevo e lasciavo campo e microfono all’illustre ospite.
L’illuminazione arrivò da una bonaria presa in giro di un mio collega. Appena ritornato al mio posto, seduto a fianco a lui, facendo riferimento alle mie slides su colli in consegna, piene di percentuali e con cifre con tanti zeri, sottovoce, iniziò a canticchiare, storpiandolo, un successo di qualche anno prima, “uno su mille ce la fa”. Sgrunt.
Le mie riflessioni
E così seduto in platea, cercai di vedere quello che vedeva la platea.
A loro non interessavano le percentuali, loro vivevano i numeri assoluti.
Piccole, piccolissime percentuali di errore rapportate a numeri molto grandi diventavano disfunzioni rilevanti viste adesso in numeri assoluti. Ma il problema non era solo questo. I clienti in sala rappresentavano probabilmente il 70% del fatturato complessivo e, quindi, il 70% della mia inefficienza si riversava tutto e soltanto su questo, relativamente piccolo, gruppo.
Continuando la mia riflessione, mentre il noto Maurizio dava prova di una magistrale capacità nell’improvvisarsi intrattenitore, notai il fatto che
le inefficienze per la mia ridotta platea si sommavano.
Nell’ipotesi peggiore e cioè che il mio cliente si prendesse, nelle proporzioni note e da me indicate, ogni forma di possibile inefficienza logistica e cioè immaginando 100 consegne nelle quali, applicando le mie percentuali:
- una volta mancasse un prodotto (manca una riga e, quindi, ordine non completo),
- oppure fosse in ritardo (anche solo di un giorno, problema generato dal corriere),
- potrebbe accadere che ci fosse un prodotto sbagliato (errore di prelievo),
- una volta fosse arrivata danneggiata (problema generato dal corriere),
la probabilità che una singola spedizione costringesse il cliente ad una gestione supplementare della stessa diventava decisamente più alta delle mie singole statistiche. In due casi, peraltro, il tutto non era nemmeno nel mio diretto controllo e, comunque, risultava già implicito nel contratto stipulato con il fornitore. E’ ovvio che il corriere non può essere puntuale nel 100% dei casi né avere mai alcun danneggiamento e di questo teneva conto il contratto, cioè si dava per scontato un certo livello di disservizio.
L’intervento di Costanzo, che intervistava e scherzava con il pubblico, si protraeva e così le mie riflessioni continuavano.
Al cliente assai poco interessava chi facesse cosa e chi fosse il responsabile, il momento della consegna raccoglieva tutto quello che era successo prima. La consegna era il riassunto di tutto.
Ad esempio:
- il venditore avrebbe potuto commettere un errore nel consigliare un determinato prodotto per soddisfare una determinata esigenza e questo sarebbe stato visto dal cliente come la consegna di un prodotto sbagliato.
- Ma il cliente stesso poteva commettere errori nel formulare gli ordini (poteva succedergli ad es. di sbagliare il codice o confondersi con la data di consegna richiesta).
- Esistevano anche fattori esterni: uno sciopero o una festività che si allungava con un ponte o, come dicono i francesi quando l’allungo è di più giorni, con un…viadotto, tutti elementi che andavano a disturbare il normale flusso operativo.
E così pensavo al mio cliente, ai miei vicini, a come loro percepissero il tutto, al loro stato d’animo e … alle tante spedizioni che comunque li avrebbero costretti ad una telefonata, a riemettere un ordine, a programmare un reso etc. … tutte attività che avrebbero sottratto tempo al loro vero e unico obiettivo: gestire il proprio punto vendita e far crescere il proprio business.
Il loro nervosismo diventava comprensibile.
Ah, naturalmente poiché la fatturazione coincideva con la bollettazione, ecco che sarebbero nati, nel caso di errori, altri ulteriori fastidi e cioè note credito, bolle di reso etc. sempre con riferimento a quell’ordine (ormai diventato quel maledetto ordine).
In sintesi, anche se ridotte, le inefficienze della logistica si sommavano, comunque, tra di loro; gli errori di terzi (corriere, venditore, cliente stesso) – pochi, piccoli ma inevitabili – si aggiungevano e, tutti assieme, generavano un ulteriore flusso con l’azienda di documenti contabili, resi, interventi del customer service e, conseguentemente, nuove possibilità di errore e così via via, in una sorta di diabolico circolo vizioso. L’elemento chiave era dato dal fatto che una quantità di interventi molto grande (svariate decine di migliaia) si abbatteva su un numero relativamente limitato di clienti, poche centinaia. Anche con percentuali molto basse, la numerica in termini assoluti poteva diventare un problema.
Ricordo che così, su due piedi (anche se stavo ancora seduto!), calcolai che, probabilmente, i presenti in sala (e cioè i migliori clienti!) dovevano gestire un fastidio, un piccolo o grande problema su un ordine ogni tre!! Sgrunt.
L’intervento dell’assai più famoso relatore stava ormai volgendo al termine ed a me venivano in mente soltanto problemi. Che potevo dire adesso, una volta tornato ad avere il microfono? Si lo so, al cliente si dà sempre ragione, ma in quel caso non sarebbe risultato, da parte mia, particolarmente brillante. E in questo vaso di Pandora che mi stavo rovesciando addosso, trovava ancora spazio la considerazione che
spesso (forse sempre) il confronto della qualità del servizio offerto non viene fatto considerando quanto scritto sul retro del copiacommissione (molto tempo fa) oppure sulla pagina termini e condizioni presente nel sito (oggi), ma piuttosto basandosi sulle singole… aspettative.
Parola magica e terribile. Ed ecco che già si apriva una nuova pagina . . .
La pausa mi fu utilissima e ancora oggi, a tanti anni di distanza, ne mantengo un ricordo vivissimo. Abbastanza velocemente riuscii ad immaginare ed implementare dei correttivi efficaci, almeno per quella che era la parte sotto la mia responsabilità e qualche anno dopo, da amministratore delegato, feci tesoro di quei 45 minuti di riflessioni, quando mi trovai a dover riorganizzare quasi ex novo un’intera azienda. Ne parleremo, chissà, forse un’altra volta.
Comunque, sul momento, non mi venne in mente nulla da dire che fosse veramente efficace per riconquistare quella platea e con sollievo notai che era arrivata l’ora del break. Non dovevo più risalire sul palco. Sarà per la prossima volta mi dissi, pensando che i fatti ancora una volta, come si dice per le fotografie, sarebbero stati meglio di mille parole.
Lorenzo Rudella
Consulente di direzione, formatore, trainer BMA Consulting
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